Entro un anno verrà individuato in Europa un centro di eccellenza per questi interventi.
Far diventare routine il miracolo. C’era da aspettarselo da Marco Lanzetta, microchirurgo che tutto il mondo ci invidia, primo italiano a effettuare un trapianto di mano: a Lione nel 1998 e, a Monza, nel 2000.
La missione di Marco Lanzetta è qualcosa che soltanto sei anni fa sembrava, per molti, impossibile: «Puntiamo a far diventare una possibilità clinica normale il trapianto di arti superiori da cadavere. Trapianto che, invece, oggi, è ammesso solo come intervento sperimentale». Una sperimentazione che il Ministero della Sanità aveva autorizzato nel 1999: cinque trapianti di mano per agevolare la ricerca scientifica, valutare la risposta dei pazienti al nuovo arto e ai farmaci, e la toro tenuta psicologica. Dal 2002, tuttavia, è tutto fermo. Difficile trovare il candidato adatto, l’arto compatibile e fare i conti con una Sanità non disposta a sostenere i costi di questi trapianti, dato che un intervento del genere deve muovere un centinaio di persone fra chirurghi, anestesisti, infermieri e assistenti di sala operatoria, trasfusionisti, fisioterapisti, psicologi.
«Adesso sul fronte dei trapianti di mano siamo fermi, ma l’attenzione è rivolta ad altro -mette i puntini Lanzetta-. Ora siamo nella fase dello studio». Sotto esame sono i tre trapiantati in Italia: «il recupero della funzionalità dell’arto sta andando bene, ogni mese vengono per un giorno qui a Monza tutti e tre i pazienti, ma i controlli più frequenti li effettuano dai rispettivi medici di famiglia e negli ospedali vicino a casa». Lanzetta è soddisfatto. Anche della rivincila che, oggi, si sta prendendo nei confronti di chi, in passato, non gli ha risparmiato critiche e accuse di abusare della scienza. E intanto si va avanti. «Ogni anno che passa è un anno guadagnato, impariamo sempre qualcosa di nuovo e miglioriamo tecniche e terapie -giustifica l’attesa Lanzetta-.
Terminato lo stu¬dio, riprenderemo a fare trapianti. Dove? Ancora non lo so, ma molto probabilmente non a Monza». Niente di personale con l’ospedale San Gerardo, ma un superchirurgo come Lanzetta non può fare i conti con un «non reparto». A luglio Lanzetta ha fatto le valigie lasciando l’ambulatorio al terzo piano del Nuovo San Gerardo. Niente fuga di cervelli.
A Monza, dal suo studio all’ombra del Tribunale, Lanzetta continua a dirigere l’Istituto Italiano di Chirurgia della Mano e a guidare il G.I.C.A.M. Onlus, l’associazione di chirurghi che effettua interventi in Paesi in via di sviluppo o in caso di catastrofi naturali o guerre. Poi ci sono le maratone in sala operatoria, in due cliniche private a Milano e a Roma, e la presidenza del Registro mondiale per i trapianti di tessuti composti. «Come Registro attualmente abbiamo già un’ottantina di casi, quaranta mani e quaranta classificati come altro, ovvero faccia, ginocchio, laringe, utero, parete addominale, arti inferiori», analizza Marco Lanzetta.
E annuncia: «Entro un anno individueremo in Europa un centro di eccellenza, fra gli attuali 16 che eseguono trapianti di tessuti composti, per questo tipo di interventi, compresi i trapianti di pene». Centro che, «quasi sicuramente non sarà in Italia». «Il nostro obiettivo è di non ripetere l’errore che è stato fatto il mese scorso in Cina per il primo trapianto di pene -chiarisce subito Marco Lanzetta-. L’intervento è stato condotto senza un adeguato supporto psicologico al paziente. Se a poche settimane dall’intervento il paziente, e pure la moglie, chiedono di tornare indietro, vuol dire che l’aspetto psicologico non è stato tenuto affatto in considerazione». Il nodo centrale resta uno e uno solo: «Trovare pazienti ideali, in grado di capire quello che stanno per fare». Comunque si va avanti, «e vogliamo farlo nel modo più serio possibile. Non vogliamo bruciarci. L’esempio della Cina è assolutamente da dimenticare».ù