da Il Giorno
«Ormai non penso più nulla, in questo Paese gira tutto al contrario. Qui non si sa neanche cosa vuol dire la meritocrazia».
Marco Lanzetta, 48 anni, il superchirurgo che tutto il mondo ci invidia, il mago del trapianto di mano, usa parole al veleno contro «un sistema che premia gli amici degli amici». E lo fa dopo l’ennesima vittoria davanti a un giudice, la quinta fra Tar e ricorsi al Consiglio di Stato negli ultimi nove anni, contro l’università dell’Insubria che lo ha bocciato al concorso per una cattedra di professore di ruolo in Malattie dell’apparato locomotorio, preferendogli altri medici e mortificando le sue professionalità.
E’ professore all’università di Canberra, microchirurgo riconosciuto a livello mondiale, oltre duemila interventi all’anno, speranza per una bimba ferita da Unabomber e una giovane mamma vittima di un attentato terroristico in Arabia, autore di libri e pubblicazioni anche sull’autorevole Lancet.
Professor Lanzetta, adesso cosa intende fare?
«Mi attendo un terzo ricorso al Tar, ma io non mollo. E non lo faccio per me perchè ormai io con quell’ambiente non voglio più aver nulla a che fare. mi tiro fuori dall’università italiana».
Quindi cosa farà?
«Oggi sono un uomo e un professionista libero, come ho sempre voluto essere. Vado avanti per una questione di principio, bisogna lottare per ottenere la giustezza delle cose, Normalmente si è abituati alla regola che chi è bravo va avanti, che chi studia a scuola prende bei voti, invece in Italia non è così. e questo da una parte spiega l’emorragia di cervelli verso l’estero, dall’altra mette in evidenza che i nostri professori non sono all’altezza dei colleghi stranieri. Il diritto alla meritocrazia è una cosa talmente logica che diventa assurda, fin quasi paradossale».
I suoi tre figli vivono e studiano all’estero. Ma cosa può fare uno studente che rimane in Italia davanti a questo sistema?
«Non ci dobbiamo scoraggiare, abbiamo il sacrosanto dovere di fare qualcosa, se saremo persistenti tutto questo sistema cambierà. Non possiamo subire, ognuno deve dare il suo contributo, un semplice granello di sabbia può bloccare l’ingranaggio meglio oliato. Tutti devono partecipare ai concorsi a testa alta, e inchinarsi solo davanti a chi è più bravo. Come nello sport: se sei più lento vai a casa, lo dice il cronometro. Altrimenti si fa una porcata».
Lei se n’è andato dall’ospedale San Gerardo di Monza dove ha rilanciato la sua fama con i trapianti di mano, sbattendo la porta perchè non le davano un reparto d’eccellenza. Oggi quali sono le sue nuove sfide?
«La vita è una sfida continua. con i tre pazienti trapiantati ci siamo giurati fedeltà per sempre, loro stanno bene. Io sto lavorando a nuove strategie terapeutiche per l’artrosi e poi c’è la costante missione umanitaria in Africa occidentale».
E quando si toglie il camice bianco?
«Sono drogato di bicicletta, ho “scalato” tante montagne, compreso l’Everest fino al campo base. Mentre il basket è solo un ricordo sbiaditissimo. Anche se tanti amici sono arrivati al massimo, come Ettore Messina e Sergio Scariolo. Del resto noi italiani siamo così. abbiamo talento, creatività, fantasia e testa dura. Ed è assurdo che lasciamo scappare i giovani solo perchè mettiamo davanti un muro invalicabile con la scritta “se sei bravo vai via”».